Traumatizzata dalla morte dei suoi genitori e del suo gatto Iris, accidentalmente causata anni prima da Gamera (che, come sappiamo, poverino, per quanto pieno di buone intenzioni, quando si muove è come un elefante in una cristalleria) Ayana Hirasaka è stata affidata, insieme al fratellino, a dei parenti di campagna.
Sotto la pressione di alcune bastascette* del villaggio, entra nel classico tempietto di montagna, dove si trova l’altrettanto classica pietra sacra. Quest’ultima si rivela un uovo, dal quale fa capolino un puccioso animaletto che Ayana battezza Iris in memoria del micetto perduto.
Nel frattempo l’intero pianeta è funestato dall’apparizione di mostri Gyaos ovunque e l’ornitologa Mayumi Nagamine, ora membro della super commissione anti-mostri del governo, deve indagare. Un misterioso pacchetto la mette sulla strada giusta: una letale mutazione ha generato un super-Gyaos che sarà impossibile sconfiggere e che metterà la parola fine alla razza umana.
Dov’è questo super-Gyaos se non nelle cure di Ayana? Iris, infatti, cresciuta a dismisura, entra in simbiosi con la ragazzina e ne assorbe l’odio verso Gamera (come se non fosse già abbastanza incazzosa di suo).
E’ il preludio ad un epico scontro nella gigantesca stazione ferroviaria di Kyoto (la cui volta in vetro e metallo, per la cronaca, se Gamera e Iris esistessero sul serio, potrebbe veramente alloggiarli comodamente entrambi in piedi).
Ma la missione di Gamera non è finita…

Ultimo capitolo della trilogia Heisei, Gamera 3: La Vendetta di Iris (Gamera 3: Iris kakusei) ha in realtà un seguito, come forse alcuni di voi già sanno. Esiste infatti un “Gamera 4”, film che, pur non potendo essere definito “amatoriale” o “fan-fiction” (è realizzato, come spesso accade in Giappone, da esperti di effetti speciali) non è mai stato distribuito e che vede Gamera scontrarsi con un gigantesco Gyaos albino.

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* “Bastascette” è un termine gergale che, per quanto poco conosciuto fuori dalla mia isoletta, sintetizza efficacemente i concetti di “piccole”, “antipatiche” e dell’equivalente volgare di “prostitute”.